Qualche anno fa, scrissi questa didascalia sotto una foto si instagram: "NYC è il centro del mondo, un posto di grande energia e grandi sorprese. Ma è anche l’inferno sulla terra. Un inferno che non è visibile a tutti, che non è visibile sempre. È una massa informe di esseri umani costretti a trascinarsi da una parte all’altra per sopravvivere. Per poter arrivare a fine giornata. È sporcizia e cattivo odore. È disuguaglianza sociale, eccesso di ricchezza e povertà. È infelicità per quasi tutti, che però non sanno cosa c’è fuori di lì, nel mondo normale, e che quindi quasi quasi non se ne rendono neanche conto, di quella infelicità. È il cancro che avanza a vista d’occhio. È amore e disprezzo al tempo stesso. NYC è la donna della quale non riesci a fare a meno, quella che odi." E tu lo sai quanto io ami quel posto. Il tuo pezzo è bellissimo, come sempre adoro sentirti pensare ad alta voce. Credo che occorra decidere, però, se parlare di NYC o parlare dell'America. Ché sono due cose molto diverse. Io, da anni, cado nella stessa fallacia (si dice?) di identificare quello che vedo e vivo a NYC con l'America. Come vedi so facendo catch up con i tuoi pezzi. Sono così indietro. Ora non vedo l'ora di leggere il seguito di questa serie sull'America. Quindi aspettati altri commenti sotto gli altri pezzi (è una minaccia!). :)
Caro Silvio, hai descritto perfettamente New York: quel senso di evidente disallineamento, di messa a fuoco sbagliata, di umanità che si trascina senza sapere bene perché. Di evidente infelicità pur nelle condizioni di più estrema opulenza. Chi ha tutto e non se ne rende conto. Come sempre ci sono forze invisibili e volontà che non vediamo e magari emerge solo questa mestizia operosa, forse chi ha intravisto una via d'uscita se n'è già andato. NY non è gli USA, certamente. Ho cercato di ripeterlo più volte nella trilogia. Più ci riflettevo e più mi pareva che mancasse un pezzo gigantesco del resto, e non parlo solo di West Coast ma anche dell'interno, anche di quell'America che forse ci fa più paura ancora perché è viscerale, fuori controllo, ancora più violenta. Eppure le cose succedono là, e qui un po' meno (molto meno, forse non a Milano) e allora ci sembra che vadano velocissimi. Si resta con l'amara domanda in gola: "Come avete potuto fare così male con tutto quello che avete?"
Bell'articolo. Sì, gli USA alla fine incarnano una delle realtà possibili, coi suoi pregi e i suoi difetti. Ci fornisce esempi anche estremi, ma che possono essere di ispirazione sia in senso negativo - cioè di quali sono i prodotti e gli effetti di una certa cultura - sia in senso positivo - per quello che riguarda la dinamicità e l'intraprendenza.
E' vero che profitto e frenesia prendono spesso il posto di cose più importanti, o semplicemente prendono senso solo fine a se stessi, però non è neanche tanto diverso da altri parti del mondo. In Italia, il prossimo aperitivo o il prossimo viaggio prendono spesso anche loro il posto delle domande essenziali. Alla fine, quello è un limite delle persone in generale, che scelgono il narcotico più adatto alle loro circostanze o semplicemente trovano più comodo e appropriato seguire binari culturali già posati. Ma laddove c'è un cambio di tendenza, me lo aspetto generalmente guidato da un paese dinamico, come ormai sta succedendo sempre più spesso nella storia moderna.
Qualche anno fa, scrissi questa didascalia sotto una foto si instagram: "NYC è il centro del mondo, un posto di grande energia e grandi sorprese. Ma è anche l’inferno sulla terra. Un inferno che non è visibile a tutti, che non è visibile sempre. È una massa informe di esseri umani costretti a trascinarsi da una parte all’altra per sopravvivere. Per poter arrivare a fine giornata. È sporcizia e cattivo odore. È disuguaglianza sociale, eccesso di ricchezza e povertà. È infelicità per quasi tutti, che però non sanno cosa c’è fuori di lì, nel mondo normale, e che quindi quasi quasi non se ne rendono neanche conto, di quella infelicità. È il cancro che avanza a vista d’occhio. È amore e disprezzo al tempo stesso. NYC è la donna della quale non riesci a fare a meno, quella che odi." E tu lo sai quanto io ami quel posto. Il tuo pezzo è bellissimo, come sempre adoro sentirti pensare ad alta voce. Credo che occorra decidere, però, se parlare di NYC o parlare dell'America. Ché sono due cose molto diverse. Io, da anni, cado nella stessa fallacia (si dice?) di identificare quello che vedo e vivo a NYC con l'America. Come vedi so facendo catch up con i tuoi pezzi. Sono così indietro. Ora non vedo l'ora di leggere il seguito di questa serie sull'America. Quindi aspettati altri commenti sotto gli altri pezzi (è una minaccia!). :)
Caro Silvio, hai descritto perfettamente New York: quel senso di evidente disallineamento, di messa a fuoco sbagliata, di umanità che si trascina senza sapere bene perché. Di evidente infelicità pur nelle condizioni di più estrema opulenza. Chi ha tutto e non se ne rende conto. Come sempre ci sono forze invisibili e volontà che non vediamo e magari emerge solo questa mestizia operosa, forse chi ha intravisto una via d'uscita se n'è già andato. NY non è gli USA, certamente. Ho cercato di ripeterlo più volte nella trilogia. Più ci riflettevo e più mi pareva che mancasse un pezzo gigantesco del resto, e non parlo solo di West Coast ma anche dell'interno, anche di quell'America che forse ci fa più paura ancora perché è viscerale, fuori controllo, ancora più violenta. Eppure le cose succedono là, e qui un po' meno (molto meno, forse non a Milano) e allora ci sembra che vadano velocissimi. Si resta con l'amara domanda in gola: "Come avete potuto fare così male con tutto quello che avete?"
Bell'articolo. Sì, gli USA alla fine incarnano una delle realtà possibili, coi suoi pregi e i suoi difetti. Ci fornisce esempi anche estremi, ma che possono essere di ispirazione sia in senso negativo - cioè di quali sono i prodotti e gli effetti di una certa cultura - sia in senso positivo - per quello che riguarda la dinamicità e l'intraprendenza.
E' vero che profitto e frenesia prendono spesso il posto di cose più importanti, o semplicemente prendono senso solo fine a se stessi, però non è neanche tanto diverso da altri parti del mondo. In Italia, il prossimo aperitivo o il prossimo viaggio prendono spesso anche loro il posto delle domande essenziali. Alla fine, quello è un limite delle persone in generale, che scelgono il narcotico più adatto alle loro circostanze o semplicemente trovano più comodo e appropriato seguire binari culturali già posati. Ma laddove c'è un cambio di tendenza, me lo aspetto generalmente guidato da un paese dinamico, come ormai sta succedendo sempre più spesso nella storia moderna.