Questo ĆØ un numero un poā particolare de Il Pensiero Lungo, forse non resterĆ nemmeno isolato, forse sƬ. Queste sono immagini e impressioni raccolte in un viaggio di due settimane a Chicago e New York, organizzate in maniera incoerente o piuttosto secondo un flusso di coscienza. Sono fotografie, ecco, e non compongono di certo una guida coerente, che di quelle ce ne sono giĆ altre e molto meglio scritte.
Guardo lāauto parcheggiata qui sotto. Sono in un condominio di Greenpoint, a Brooklyn. Ć piena di polvere e foglie cadute dallāalbero che le fa ombra. Sono foglie di piĆ¹ di qualche stagione, quella macchina deve essere ferma da mesi, forse anni. Ce ne sono altre: alcune pulite (una donna sta lucidando la sua, ĆØ un colore verde marcio, quantomeno inusuale), altre piĆ¹ o meno trascurate, altre trattate religiosamente. In una societĆ che venera, rispetta e usa moltissimo la macchina, la macchina puĆ² dire tantissime cose di quella stessa societĆ . Quelle di questo parcheggio raccontano quanto guadagnano i loro proprietari, quanto vengono usate, quanti in questo condominio hanno la macchina, quanti la considerano uno strumento, quanti un investimento.
La benzina qui costa mediamente 4 dollari al gallone, cioĆØ poco piĆ¹ di un euro al litro. Ć un prezzo ancora alto, ricordo che poco piĆ¹ di un anno fa costava molto di meno. Lo ricordo perchĆ© quando superĆ² una certa soglia gli americani impazzirono, o almeno cosƬ la raccontarono i giornali. Impazzirono perchĆ© erano abituati a pagarla molto di meno, o quello che gli sembrava giusto. Non sapevano quanto la pagavamo e la paghiamo noi europei, cioĆØ a occhio e croce il doppio. Tutto ĆØ relativo e quello che ti sembra normale non lo ĆØ piĆ¹ quando il suo valore cambia, cioĆØ quando il sistema di riferimento della normalitĆ si stara e tutto costa troppo poco o troppo.
Lāeffetto che deve fare il prezzo della benzina europea a un americano ĆØ pressapoco quello che fa a noi la roba da mangiare in America: troppo.
Oggi ho fatto la spesa (in Italia) e pensavo avessero sbagliato i prezzi perchĆ© certe cose costavano la metĆ o meno, altre ancora meno. Dopo ho letto un articolo che parlava di āfood insecurityā e ho pensato che se non fossi appena stato negli Stati Uniti avrei pensato allāennesima esagerazione giornalistica e invece dare per scontato che si riuscirĆ a mangiare qualcosa domani o fra una settimana non ĆØ cosƬ scontato da quelle parti.
Ad Harlem ho visto una lunga coda di persone lungo un marciapiede. Ero su una strada non lontano dalla Columbia University, una delle universitĆ piĆ¹ costose al mondo. Ho visto in fila persone di ogni genere e colore. Ho notato una coppia di giovani con un passeggino e un bambino. Sembravano il ritratto della coppia middle class: vestiti in modo sportivo ma di bellāaspetto e curati. Mi sono girato per capire dove fosse diretta in ordinata fila tutta quella gente: un poā oltre cāera lāingresso della Food Bank, cioĆØ del banco alimentare. Non si tratta di una banca ma di unāistituzione che distribuisce pasti gratuiti. Tutti aspettavano il loro turno, se allāinizio di quella fila ci fosse stata la biglietteria dello Yankee Stadium non ci sarebbe stata differenza. Erano tutti in dignitosa attesa. Non cāĆØ niente di cui vergognarsi, forse la normalitĆ ĆØ accettare una situazione di disagio come, appunto, normale. Transitoriamente normale, almeno.
ChissĆ cosa ne pensavano quelli. Forse, da buoni newyorkesi, se ne fregavano di quello che pensavano gli altri, perchĆ© anche loro degli altri non pensavano niente.
A New York ci sono storie ovunque.
Ha detto pressapoco cosƬ Casey Neistat, in uno dei suoi video. Spiegava, se non ricordo male, la differenza fra New York e Los Angeles, dove ha vissuto per qualche anno tempo fa, scappando da un burnout lavorativo sviluppato con metodo militare nella Grande Mela, e anche per trascorrere piĆ¹ tempo con la famiglia.
A Los Angeles cāĆØ rimasto qualche anno, poi ha dovuto tornare a New York. A caccia di storie, cacciato dalla West Coast dalla noia mortale di un mondo in cui cāĆØ sempre bel tempo e niente ĆØ fuori posto, come diceva Marcello Mastroianni intervistato da Dave Letterman. Forse ai suoi tempi era vero, adesso Los Angeles e San Francisco gli piacerebbero di piĆ¹ per il caos che vi regna, o almeno cosƬ dicono i giornali (esistono ancora i giornali?)
Il bel tempo cāĆØ ancora, e Marcello non cāĆØ piĆ¹, perĆ² trovo curioso che forse per manierista piaggeria o con sinceritĆ anche lui preferisse New York. E poi Mastroianni poteva dire quello che gli pareva, per dio. Tipo che non ne poteva piĆ¹ del bel tempo perenne e della pulizia eccessiva. Voleva la variazione, lāimprevisto, lāimperfezione (la merda per strada, diceva proprio cosƬ in quellāintervista, e Letterman fingeva di non aver capito bene).
Due cittĆ non descrivono di certo un paese complesso e vastissimo come gli Stati Uniti ma parlando di America mi riferisco piĆ¹ allāidea che ne abbiamo: quella che ci ĆØ pervenuta da quella cultura, quella che ci ĆØ stata formata, quella che abbiamo maturato un poā tutti.
Per la mia generazione lāAmerica era unāesagerazione e un sogno, giĆ dal nome: un paese cosƬ gonfio di sĆ© da assumersi lāarbitrio di diventare grande come un continente. Scoprire lāAmerica o Vivere il Sogno Americano sono stati per anni modi per definire una proiezione di futuro possibile e auspicabile, un augurio, unāidea di progresso, libertĆ , giustizia sociale. Per molti di noi, lāidea di America era monolitica ed era un faro splendente, stagliato su un orizzonte lontano ma visibile.
Gli USA non sono lāAmerica ma sono una declinazione possibile di un continente ben piĆ¹ vasto, eppure per decenni sono stati una sineddoche continentale: il tutto diceva la parte, o la parte si appropriava del tutto.
Quando poi ci vai negli Stati Uniti, il sogno diventa realtĆ , e diventando tale, smette di essere sogno. Non che si trasformi in una disillusione, affatto. Semplicemente gli USA diventano cioĆØ che sono, e cioĆØ gli USA. Teoria e pratica, illusione e realtĆ , quelle cose lƬ.
In viaggio ĆØ meglio andarci come vasi vuoti, me lo ripeto ogni volta. Mi do questo consiglio anche per giustificare la mia pigrizia nel leggere prima qualsiasi libro saggio romanzo che parlino dei luoghi dove sto per andare. Ć per non avere preconcetti, ĆØ per essere, appunto, come vasi vuoti che sono pronti a farsi riempire di realtĆ e storie.
Non avere preconcetti o aspettative ĆØ sempre una buona regola di vita e anche un atteggiamento rispettoso nei confronti di ciĆ² che si sta per conoscere: evita di affrontarlo prevenuti, convinti di saper giĆ cosa ci aspetta. Lāesperienza, per dire, ĆØ piĆ¹ reale. A volte anche piĆ¹ brutale.
Una cosa che si percepisce e si vede ĆØ che le persone sono senza pelle. Con questa immagine intendo che tutto ĆØ percepito alla massima intensitĆ , non cāĆØ mediazione, non cāĆØ filtro. Il capitalismo negli USA ĆØ la massima e piĆ¹ spietata espressione del capitalismo che si possa immaginare. Per essere allāinterno della societĆ devi correre forsennatamente, senza sapere nemmeno dove. Se non lo fai sei fuori. Esisti sulle strade ma non ti vedono. Sei uno zombie che vaga perso sui marciapiedi o dorme sullo soglia di un negozio di notte e fai parte del paesaggio, a tal punto che non vieni neanche piĆ¹ notato. Sei normale, come era normale quella fila fuori dalla Food Bank.
Il contraltare ĆØ che lāeconomia statunitense ĆØ la piĆ¹ dinamica al mondo. Attualmente il tasso di disoccupazione (che, ricordo, non contempla chi non cerca nemmeno un lavoro) ĆØ al 3% e rotti. Una percentuale fisiologica di non impiego, che lo rende praticamente nullo. Se vuoi lavorare, puoi lavorare. Quale lavoro poi ĆØ un altro discorso: puoi fare il guidatore per Uber o Lyft, guidare senza sosta e arrivare a pagare un affitto a prezzi folli per una casa che puoi chiamare casa dove andare a dormire qualche ora o puoi fare il cameriere. Puoi fare mille cose, senza tutele, sapendo solo che se perdi il lavoro puoi trovarne un altro molto velocemente. Ć la mobilitĆ del lavoro, e negli USA ĆØ al massimo livello: meno tutele ci sono, piĆ¹ il mercato del lavoro ĆØ fluido e permette travasi da un settore allāaltro. In Europa non ĆØ cosƬ anche se ĆØ il modello verso cui molte democrazie stanno andando o sono giĆ andate. Promette (e spesso mantiene) soldi per tutti ma senza alcuna tutela.
Ma questo non ĆØ un pezzo giornalistico. Non sono un giornalista e non ho lāambizione o la presunzione di dire cosa sono gli USA avendo visitato due cittĆ in due settimane. Sono impressioni, si diceva.
Unāultima - per ora - impressione ĆØ che la dinamicitĆ di quella societĆ ĆØ massima. Lo si vede nel come cambiano le cittĆ , nelle nuove costruzioni, nei negozi che aprono o chiudono, nelle mode che si avvicendano, nella frenesia che avvinghia chiunque, a parte chi si ĆØ chiamato fuori dalla mischia o ne ĆØ stato escluso. Lāunico biglietto che puoi comprare per partecipare al gioco ĆØ lavorare. Fare la tua parte. Per fare soldi, sāintende.
Quello che mi porta al JFK per tornare in Italia parla molto. Ć indiano, anche se ĆØ nato in California e ha vissuto in India, in Inghilterra, in Germania e anche in Italia per un poā. Poi ĆØ andato a vivere a New York. Parlo molto con tassisti e guidatori di Uber o Lyft (due servizi che funzionano divinamente e che infatti in Italia non vogliono implementare, perchĆ© smaschererebbero lāinefficienza sistemica dei taxi - ma ce ne siamo accorti comunque, grazie) e in genere parlo con chiunque sia disposto a farlo. Il che capita spesso perchĆ© una qualitĆ che va riconosciuta agli americani ĆØ la disponibilitĆ . Sono curiosi, sono aperti, spesso sono loro a fermarti e a conversare. Questo guidatore mi ha raccontato di quanto costano gli affitti a New York: 2.000 dollari al mese in zone pessime, 5.000 in zone buone, 10.000 a Manhattan. Non era lāistituto di statistiche americano e magari ha semplificato ma, visto il costo della vita lƬ non stento a crederci. PerĆ² dice anche che se vuoi farcela, quello ĆØ il posto giusto. Poi precisa āBeh, un poā ovunque negli States, ma qui a New York e nello stato in particolareā.
Ci penso un poā e trovo che non possa che trattarsi dellāincredibile dinamicitĆ di questa societĆ dove tutti fanno e sono affannati, dove lāoperositĆ ĆØ palpabile, assieme alla vita. Non la si puĆ² di certo definire una societĆ non vitale, anche se resta il dubbio di dove e come si applichi questa vitalitĆ . Qual ĆØ il progetto? Come si dĆ un senso al tutto?
Uno dei piĆ¹ feroci critici (e quindi anche uno dei piĆ¹ sinceri amanti) di questo modello era il comico George Carlin. Una volta gli chiesero qual era il senso della vita e lui rispose āIl senso della vita ĆØ la vita stessaā.
Il senso degli Stati Uniti sono gli Stati Uniti stessi, e il fatto ĆØ che quellāidea cambia in continuazione, ĆØ in continuo aggiornamento. Puoi fermare uno per strada e chiederglielo e magari si stupirĆ della domanda e ti risponderĆ che non lo sa, che sa solo che bisogna andare avanti.
Ci sono perĆ² anche forze sotterranee e meno evidenti. Segnali, lampi. Forse ĆØ una mia speranza piĆ¹ che una realtĆ e la immagino cosƬ: che la narrazione stia cambiando. Che lāinsistenza nel dibattito pubblico - al di lĆ delle feroci polarizzazioni politiche - sui temi della salute mentale nascondano un sincero desiderio di superare la divinitĆ del profitto e di esplorare dimensioni piĆ¹ spirituali, piĆ¹ interiori.
Ne ho parlato con un architetto di Chicago che si occupa di architettura applicata ai luoghi per la guarigione attraverso la spiritualitĆ . Non intendo chiese o simili, anche se lāessenza di quei luoghi potrebbe assomigliarci. Parlo della necessitĆ sempre piĆ¹ sentita di prendersi cura di ciĆ² che provoca essere parte di questo dinamismo e non farcela, esserne espulsi. Gli chiedo se forse al profitto si inizia a preferire qualcosa di diverso, di piĆ¹ profondo e curativo. Mi dice che non lo sa, che lo spera, ma che di certo quando anni fa ne parlava non cāera nessuno ad ascoltarlo, mentre ora non ĆØ piĆ¹ cosƬ.
Cambiano le idee a cui le persone pensano. Quando non si ha lāossessione del profitto e ci si chiede dove si sta andando allora si capisce che tutto non puĆ² ridursi ad accumulare e che bisogna cercare una risposta altrove. Magari dentro di sĆ©, magari negli altri.
Si va avanti, in un modo diverso.
[continua]
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Qualche anno fa, scrissi questa didascalia sotto una foto si instagram: "NYC ĆØ il centro del mondo, un posto di grande energia e grandi sorprese. Ma ĆØ anche lāinferno sulla terra. Un inferno che non ĆØ visibile a tutti, che non ĆØ visibile sempre. Ć una massa informe di esseri umani costretti a trascinarsi da una parte allāaltra per sopravvivere. Per poter arrivare a fine giornata. Ć sporcizia e cattivo odore. Ć disuguaglianza sociale, eccesso di ricchezza e povertĆ . Ć infelicitĆ per quasi tutti, che perĆ² non sanno cosa cāĆØ fuori di lƬ, nel mondo normale, e che quindi quasi quasi non se ne rendono neanche conto, di quella infelicitĆ . Ć il cancro che avanza a vista dāocchio. Ć amore e disprezzo al tempo stesso. NYC ĆØ la donna della quale non riesci a fare a meno, quella che odi." E tu lo sai quanto io ami quel posto. Il tuo pezzo ĆØ bellissimo, come sempre adoro sentirti pensare ad alta voce. Credo che occorra decidere, perĆ², se parlare di NYC o parlare dell'America. ChĆ© sono due cose molto diverse. Io, da anni, cado nella stessa fallacia (si dice?) di identificare quello che vedo e vivo a NYC con l'America. Come vedi so facendo catch up con i tuoi pezzi. Sono cosƬ indietro. Ora non vedo l'ora di leggere il seguito di questa serie sull'America. Quindi aspettati altri commenti sotto gli altri pezzi (ĆØ una minaccia!). :)
Bell'articolo. SƬ, gli USA alla fine incarnano una delle realtĆ possibili, coi suoi pregi e i suoi difetti. Ci fornisce esempi anche estremi, ma che possono essere di ispirazione sia in senso negativo - cioĆØ di quali sono i prodotti e gli effetti di una certa cultura - sia in senso positivo - per quello che riguarda la dinamicitĆ e l'intraprendenza.
E' vero che profitto e frenesia prendono spesso il posto di cose piĆ¹ importanti, o semplicemente prendono senso solo fine a se stessi, perĆ² non ĆØ neanche tanto diverso da altri parti del mondo. In Italia, il prossimo aperitivo o il prossimo viaggio prendono spesso anche loro il posto delle domande essenziali. Alla fine, quello ĆØ un limite delle persone in generale, che scelgono il narcotico piĆ¹ adatto alle loro circostanze o semplicemente trovano piĆ¹ comodo e appropriato seguire binari culturali giĆ posati. Ma laddove c'ĆØ un cambio di tendenza, me lo aspetto generalmente guidato da un paese dinamico, come ormai sta succedendo sempre piĆ¹ spesso nella storia moderna.