Non so mica se penso quando cammino. CioĆØ, sƬ, penso ma ĆØ un poā diverso dal pensare che faccio da seduto, davanti a un computer. Forse diamo un nome (un verbo) a unāattivitĆ che invece ha molte declinazioni. Tipo: quando penso correndo lo faccio per immagini, quando penso scrivendo lo faccio come un LLM (vedo il testo comporsi visivamente ma a parole, o token, come li chiamerebbe chi si occupa di AI), quindi dovrei dire che lo faccio ancora per immagini, solo che si tratta di blocchi di parole che vanno in una certa direzione, o più direzioni. Sono dei convogli, dei treni, ecco.
A volte (spesso) mi stufo di pensare e cerco un bottone di reset. CāĆØ da qualche parte? Temo di no, il nostro corpo non ha un reset, oppure lo fa, ma durante la notte. Il sogno non ĆØ un pensiero, oppure ĆØ un pensiero per immagini, e ritorno al punto di partenza. Lāunica differenza ĆØ che del sogno non controllo niente: osservo e basta. Quando penso invece ho - bene o male - il governo di quello che succede nella mia testa.
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Ho finito Filosofia del cane di Mark Rowlands. Parla della differenza fra uomini e cani e alla fine argomenta che i cani pensano, solo che lo fanno al risparmio. Dice che, siccome vivono con noi da tipo 15.000 o 25.000 anni - ora non ricordo - hanno capito che a tante cose ci pensiamo noi, quindi perchĆ© darsi pena? Non ĆØ un ragionamento stupido, e infatti per certi versi sono molto più intelligenti di noi perchĆ© usano il cervello solo quando ne hanno davvero bisogno, quando non cāĆØ alternativa. Allora sono pure capaci di certe raffinatezze cerebrali. Noi diremmo che sono svogliati o stupidi e invece sono solo più attenti a non usare il loro organo più esoso di energia, almeno quando non serve. Ci pensa lāuomo in quel caso.
Rowlands concorda con me nel dire che i cani sono animali filosofici (grazie), anche se non sanno cosāĆØ la filosofia. Forse la vivono, più che pensarla, la filosofia. Lāhanno talmente interiorizzata che hanno superato ogni questione epistemiologica: il pensiero esiste, può essere articolato dal cervello ma ciò non significa che debba essere fatto. Ć una scelta fra potenza e azione. Fra il potere farlo e il farlo davvero.
Unāaltra differenza fra noi e loro - dice sempre Rowlands - ĆØ che noi viviamo due vite diverse - quella interna, in cui percepiamo noi stessi e sentiamo e sappiamo di esistere, e quella esterna, cioĆØ quella in cui ci osserviamo da fuori. I cani hanno elegantemente eliminato questa seconda modalitĆ , ottenendo il pregevole risultato di potersi dedicare solo alla vita interiore. Noi invece vaghiamo tra lāuna e lāaltra. Pensando. Ed essendo eternamente insoddisfatti perchĆ© non ne realizziamo nessuna delle due. Non ce le godiamo.
Allora ho pensato che è il pensiero il problema, che è già di per sé un curioso attorcigliamento, perché il pensiero che pensare sia un problema è pensato, e non si sa se sia il pensiero a farlo o il cervello, che produce comunque pensiero. Non se ne esce.
Come fermare il pensiero? Come vivere come dei cani? Ho una soluzione pratica, che ĆØ anche una regola che mi sono dato, o che cerco di applicare in questo periodo: quando sento che sto per pensare, faccio qualcosa. Quando insomma non voglio pensare, agisco.
In genere funziona, almeno nel mitigare il solipsismo del pensiero, che ĆØ quellāattivitĆ che piace tanto alla mente umana, ossia il pensare per il gusto di farlo. Esiste un modo per non farlo? Si può controllare il pensiero?
Intanto ho individuato il problema e anche qualche soluzione. Per esempio mi sono dato questa regola:
Il pensiero ĆØ permesso solo durante la scrittura. Lāazione (il fare cose) limita il pensiero, quindi quando non voglio pensare, disegno, cammino, cucino.
Non che non pensi quando cammino ma col disegno invece funziona. Quando disegno mi pare di non pensare. Del resto si tratta di uno dei linguaggi meno mediati che esistano, e se non è mediato significa che il suo segnale non è modulato o disturbato da filtri. à un pensiero puro, o forse è la forma più libera e primigenia di pensiero. à istinto, è espressione.
Ormai da più di un mese disegno petali. Sono inventati, immaginati, figurati. Senza molto rifletterci - e forse questo mi ha convinto che fosse una buona idea disegnarli - ogni giorno ne disegno uno. Lāunico stimolo programmatico ĆØ stato il piacere di disegnare qualcosa di cosƬ fragile, leggero e vulnerabile, in un periodo come questo, in cui sembra che tutto stia impazzendo. Come con la scrittura - cioĆØ quando penso - quando disegno mi esprimo in pura azione. La cosa più importante nel disegno ĆØ la mia mano che si muove, non la testa. Il disegno non ha uno scopo, quindi non ha sovrastruttura. Azione contro pensiero.
Quando disegno non so cosa voglio dire perché in verità non voglio proprio dire niente: disegno petali, se è un programma questo, va bene. Per me sono disegni di petali e basta.
Ogni notte, prima di addormentarmi, ne disegno uno o due. A volte sullo schermo dellāiPhone, direttamente col dito. Mi servono a non pensare ed ĆØ curioso che siamo arrivati al punto di cercare il modo di non pensare, non di pensare meglio. Il desiderio di non pensare ĆØ in realtĆ solo un modo per abbassare il volume dentro la testa, per sentire altre cose, più semplici ma molto eloquenti.
Attendo ogni giorno con impazienza e gioia questo momento. So che a notte fonda disegnerò un petalo e sorrido a pensarci. Può accadere quello che vuole nel resto del mondo ma io disegno un petalo. E dopo medito, o anche prima, non ha importanza. Mentre medito non penso ai petali, non mi dico āAdesso lo faccio cosƬ o colĆ ā, non sono io che disegno petali, sono loro che decidono come vogliono essere disegnati.
Forse, capisco ora, sono un poā come un cane per i petali che disegno. Dico āPensateci voi come volete che vi disegni, io intanto vi disegnoā, perchĆ© non voglio pensare, almeno non in quella mezzāora in cui disegno. Voglio solo disegnare, voglio che ci pensino i petali. Come un cane, che ci pensi il mio padrone, che io devo risparmiare il cervello, che poi fa solo quello: pensa, pensa, pensa, perchĆ© crede di saperlo fare bene.
Allora glielo lascio fare, di pensare: quando scrivo gli dico āEcco, adesso puoi pensareā e lui ĆØ contento e pensa e io scrivo queste cose qui.
Poi esco a camminare o disegno un petalo. Voglio un poā di silenzio, qui dentro.
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Ho scritto un libro
Lāho fatto con Sandro Siviero, per BUR Rizzoli. Parla della corsa e di come cambia la vita. Quindi parla anche di vita, per estensione. In tutte le librerie fisiche e online. Lo stiamo anche presentando in giro per lāItalia.
Interessante argomento, io cerco di non pensare quando corro, invece non riesco a smettere e questo non mi fa più correre sereno... momenti che mi servivano per allegerire sono diventati momenti in cui i pensieri prendono il sopravvento, il controllo... così cerco di guardare i miei pensieri e di capire dove mi portano, ma ancora di più, cerco di capire cosa proiettano, perché alla base dei nostri pensieri c'è la proiezione, in tutti i sensi...
Leggevo tempo fa della differenza fra "concentrazione" e "attenzione", la "concentrazione" ĆØ stare con i propri pensieri su un argomento, questa cosa non ci fa "ascoltare", non lascia spazio alle sensazioni, alle emozioni... diversamente l'"attenzione" dovrebbe essere lo stato in cui siamo con la massima percezione di tutto quello che accade, senza concentrarci su nulla, per permetterci di accorgerci delle cose...
Per citare Mooji
"Non osservare la mente,
che ĆØ sempre in movimento.
Osserva il SĆ©,
che ĆØ immobile
e sempre presente."
Ma questa ĆØ un'altra storia.
Ecco, come l'hai detto bene questo pensiero sul pensare.
Io quando corro ĆØ come se pulissi il pensiero, e poi mi spuntano pensieri-idee che non ho evocato, come delle isole che emergono all'improvviso dagli abissi. Ed ĆØ una sensazione di piacere che si aggiunge al piacere del corpo in movimento.
Pensavo anche che per me il movimento è una specie di innesco, e infatti anche la lettura è più brillante quando la faccio su un mezzo che si muove.