154 - Jazz
Mi sono chiesto cosa significa scrivere come se si facesse del jazz. Ho iniziato a scriverne e, come al solito, non avevo idea di dove sarei finito.
Oggi, mentre tagliavo lo scalogno per il soffritto, stavo ascoltando il Concierto de Aranjuez, la prima traccia di Sketches Of Spain di Miles Davis. Pensavo fosse un pezzo originale e invece ho scoperto - mentre mi documentavo per scrivere queste righe - che si tratta in realtĆ di unāinterpretazione dellāomonimo di Joaquin Rodrigo, che risale al 1939. Miles Davis se nāera innamorato e volle eseguirlo.
Non saprei dire se nellāesecuzione di un classico vi sia una volontĆ di appropriazione o di comprensione dellāesecutore. Probabilmente entrambe. Miles Davis voleva capirlo e poi farlo proprio e per riuscirci doveva eseguirlo, cioĆØ esprimerlo. Forse i passaggi logici sono questi, anche se il jazz ĆØ noto come un genere musicale molto più libero di altri, e infatti viene spesso interpretato come sprovvisto di regole.
Mi piace citare ancora Miles Davis che diceva che:
Itās not the note you play thatās the wrong note ā itās the note you play afterwards that makes it right or wrong.
Che ĆØ un modo di dire che non esistono note giuste o sbagliate, ma che ĆØ il contesto che le rende tali o meno.
Il jazz ĆØ libero non perchĆ© non abbia regole ma perchĆ© ha una struttura fluida, che si adatta. Adattarsi significa riconoscere lāerrore e integrarlo nel processo creativo. Accettarlo e, attorno a esso, costruire il resto dellāedificio musicale: la nota successiva. E poi le altre ancora.
Puoi sostenere Il Pensiero Lungo anche con un caffĆØ (che costa meno dellāabbonamento qui, su Substack)
Ho letto un bel ragionamento (non lo chiamo solo articolo perchĆ© ĆØ, appunto, un limpido modo di mettere in fila elementi) che riguarda un argomento apparentemente distante, ossia il modo in cui dovremmo rapportarci allāAi, e citava John Coltrane e una delle sue più celebri e rivoluzionarie composizioni, ossia Giant Steps.
Scrivono
e in :Coltrane aveva creato un algoritmo perfetto, un sistema strutturato e inattaccabile. Flanagan, invece, si muoveva con il linguaggio umano dellāerrore, della ricerca, della vulnerabilitĆ . E quella vulnerabilitĆ ĆØ rimasta nella registrazione, come una traccia di resistenza.
Nellāesempio che portano, Coltrane ĆØ la macchina - cioĆØ lāAi - che ragiona a una velocitĆ inusitata per la mente umana e il pianista Flanagan siamo noi, che, attoniti di fronte al potere di calcolo (cioĆØ, il potere esecutivo di Coltrane) restiamo interdetti, non capiamo, ci limitiamo ad accompagnare la musica, cercando di starle dietro.
Ma non volevo parlare di Ai. Volevo parlare di scrittura, perchƩ mi sono chiesto quale sia un modo di scrivere jazz. Che poi, a dirla tutta, parlare di scrittura significa parlare di LLM e quindi di Ai. Ma torniamo a noi.
Se dovessi riferirmi alle regole (o non regole, o regole lasche) del jazz, dovrei pensare che lāerrore ĆØ contemplato e anzi ben accetto, e che dovremmo indugiarvi nello scrivere jazzisticamente.
Dovremmo considerare che non esistono note sbagliate - ne esistono solo di inaspettate, diceva sempre Davis - ma solo note in determinati contesti che, nellāinsieme, sono giusti o sbagliati. O āsuonanoā giusti o sbagliati. Per quanto il jazz suoni in modo strano e incomprensibile a molte orecchie. O noioso.
ComāĆØ quindi una scrittura jazz? Lāho immaginata come un collage o forse come un film, montato in maniera molto libera, con inversioni cronologiche, con accelerazioni e decelerazioni continue, con cambi di ritmo, con espansioni e contrazioni.
Non so esattamente che forma letteraria potrebbe avere: forse ĆØ fatto di ragionamenti e immagini, di ricordi e di scatti in avanti, di riflessioni e descrizioni.
Di certo lo immagino imprevedibile, come la vita. Mi piace essere stupito, non mi piace riuscire a prevedere. La noia ĆØ prevedibile e il jazz ti allena a non prevedere niente. Dopo una nota giusta non ce nāĆØ necessariamente unāaltra giusta. Ce nāĆØ unāaltra e basta.
Non ricordo chi diceva che ĆØ difficile fare previsioni, specie se riguardano il futuro.
In questi giorni sto leggendo lo straordinario Solaris di StanisÅaw Lem (introduco una variazione, un cambio di ritmo, uno scarto. Sto scrivendo jazz? Non lo so: scrivo).
Avevo visto almeno due versioni cinematografiche del medesimo, ossia quella celeberrima (meritatamente) del 1972 di Andrey Tarkovsky e quella del 2002 di Steven Soderbergh. Non so se ne esistano altre ma quello che più mi sta affascinando del libro ĆØ la qualitĆ superlativa della scrittura (e delle descrizioni del paesaggio di Solaris, e in particolare del suo oceano e della sua mutevole morfologia) e la metafora che, appunto, ĆØ rappresentata da questo oceano. Che non ĆØ fatto di acqua ma piuttosto di una materia gelatinosa e mutante, di un colore indefinito che muta con la luce e - sembra di poter immaginare - anche con lāumore di chi lo guarda.
à un oceano che è in se stesso un umore, una creatura sensibile che capta le energie mentali attorno a sé e risponde, reagendo e creando realtà che sono fatte della materia della memoria degli uomini che vivono lì. Solaris è una creatura che genera creature fatte di incubi e di aspettative deluse, è un oceano sferico molle e passivo che riflette il lato oscuro di chi lo abita, rendendolo evidente e inevitabile.
Ci sono lunghissime descrizioni delle conformazioni che è capace di creare, dei corpi tettonici e organici che plasma sulla sua superficie. Non è una presenza né minacciosa né benigna: è incomprensibile da occhi scientifici ma soprattutto è, e basta. Esiste.
Non ĆØ chiaro se sia il responsabile delle vivide allucinazioni che gli abitanti della stazione spaziale sperimentano ma lāorigine dei visitatori - come li chiamano - che li vengono a trovare comparendo dal nulla pare essere collocata da qualche parte, in quellāoceano. Non so se in veritĆ sia davvero cosƬ, ho superato da poco la metĆ , magari verrò smentito.
Quello che conta ĆØ che i visitatori sono personali per chi, involontariamente, li evoca. Kris Kelvin, lo psicologo che narra in prima persona, viene visitato dalla sua compagna, suicidatasi sulla Terra e ora riapparsa amorevole ma senza memoria, accondiscendente e remissiva in questa nuova dimensione.
Mi sono chiesto se lāoceano non sia una oceanica metafora del passato o del peso che ognuno porta con sĆ©: quello delle aspettative deluse e delle delusioni vere e proprie, dei fallimenti, delle proiezioni di possibili futuri che sono diventati passati sghembi e sgorbi, memorie di fallimenti e sacche di resistenza di possibili riscatti. O forse Solaris ĆØ la parte oscura, ma illuminata. Voglio pensare che il suo nome suggerisca questo, anche se deriva dalla presenza del suo sole, o cosƬ lo immagino. Ć un sole che cambia i colori, violentissimo e accecante in certe ore, ed ĆØ una presenza ostile, da cui difendersi.
Ci si deve difendere però anche dallāoceano. Allora bisogna cercare di capirlo. In questa ricerca, che diventa una epica e tragica allegoria della costruzione del sapere, gli scienziati della stazione si chiedono:
Dovresti sapere che la scienza si occupa esclusivamente del come avvengano certi processi, e non del perchƩ.
Ć un indizio, ed ĆØ la domanda di fronte a cui li pone lāoceano silenzioso e mutevole, minaccioso e piatto: perchĆ© succedono le cose?
E allora ho capito che non esiste una scrittura jazz ma che la scrittura è jazz: la scrittura è lo strumento che permette di raccogliere e legare ragionamenti, pensieri, suggestioni, direzioni e deviazioni lungo un percorso che non si sa, appena intrapreso, dove condurrà . Il senso della scrittura, come ogni viaggio che si rispetti, non è la destinazione e la chiusura del ragionamento (quella è affidata alla scienza, ed è transeunte) ma è la scrittura in sé. La scrittura chiede scrittura per procedere, e ricambia illuminando i tratti di percorso.
Non sono capace di suonare nessuno strumento ma ascolto il jazz. Non ĆØ semplice farlo: il buon jazz ti porta sempre dove non ti aspetti, ti mette sempre un poā a disagio. Però ricambia con unāintuizione, con la vista di un nuovo luogo mentale che non sapevi esistesse. Il jazz ti chiede ascolto e restituisce unāimmagine di chi ascolta: non ĆØ lāimmagine reale ma ĆØ quella possibile, nel senso che ĆØ fatta di tutte le possibili variazioni e ramificazioni della vita.
ĆĀ tutte le memorie (le forme del passato) e tutte le possibilitĆ (quelle del futuro) insieme. Ć tutte le note conosciute e le loro combinazioni possibili e sbagliate, che diventano magicamente giuste.
Non so se lāoceano di Solaris sia jazz. Di certo ĆØ il luogo delle memorie che i personaggi di quel libro non vogliono visitare, ĆØ un passato che vogliono distruggere o almeno neutralizzare. Ć la parte della loro anima che non possono ignorare e che li definisce, attraverso le paure, i ricordi e gli errori.
Quellāoceano costruisce in pochi minuti architetture di bellezza sublime e terribile, che distrugge poco dopo, inghiottendole nelle sue viscere. Alcune di queste si chiamano simmetriadi.
Il simmetriade [ā¦] era per definizione Ā«lāinimmaginabileĀ».
Prima di iniziare a suonare - ogni volta che lo facevano, non la prima in assoluto - Miles o Coltrane non immaginavano. Poi procedevano a costruire non solo sulla memoria (quella serve per le regole, mentre fare jazz vuol dire conoscerle e negarle, anche) ma sullo scarto imprevedibile, sulla deviazione, sullāerrore. CosƬ scoprivano nuovi mondi, nuovi suoni, nuove realtĆ .
La scrittura si basa su regole ma non ĆØ un martello alla ricerca di chiodi. Per ora i LLM e lāAi lo sono - martelli per piantare chiodi - che però finiscono per essere involontariamente jazz: associano idee distanti e non visibili a occhio umano e sono vascelli capaci di spingersi ai confini dellāoceano della conoscenza per tornare in porto con storie e creature inimmaginabili.
La scrittura umana gli dĆ ordine e li colloca, o cerca legami. Scopre che non cāĆØ un errore nel tagliare lo scalogno e nellāascoltare del jazz, che le cose sono collegate, anche se i legami sono flebili, anche se non sembrano esistere.
Tutto ĆØ legato e lāincongruenza non ĆØ un errore ma ĆØ piuttosto una connessione debole, un segnale appena percepibile.
Che può essere scritto, per creare una nuova memoria e per cercare di capire non come avviene la vita, ma perché avviene.
Inoltre
Puoi vedere altre mie foto, grafiche, disegni, e leggere molto altro su martinopietropoli.com.
ā Sono anche su Twitter (anche se non lo uso più) | Facebook | Instagram | Medium | Threads | Bluesky
ā Le mie stampe sono su Studio Martino Pietropoli
Ho scritto un libro
Lāho fatto con Sandro Siviero, per BUR Rizzoli. Parla della corsa e di come cambia la vita. Quindi parla anche di vita, per estensione. In tutte le librerie fisiche e online. Lo stiamo anche presentando in giro per lāItalia.
Come sempre mi hai fatto spaziare dove non sapevo sarei andato, Martino. Che poi ĆØ quello che fa il jazz, e la scrittura, che ĆØ come una strada che si srotola senza sapere che pezzo ci sarĆ dopo.
Qualche anno fa ascoltai in audiolibro "Solaris" dopo avere visto i due film, e forse più Tarkovskij che Soderbergh è riuscito a restituire quella materia rarefatta ma lucida e pesante del pianeta immaginato da Lem; e leggendoti ho pensato pure che noi per le IA siamo specie di dèi che istruiscono il mondo da loro organizzato a nostra somiglianza - forse è un pensiero un po' confuso, ma intanto mi hai liberato questo collegamento, Grazie!
Nel '96, tra le mie note, mi chiedevo come fosse scrivere jazz. Ora, dopo tutti questi anni, ho trovato la risposta.š