93 - Oltre
Un luogo che non è un luogo, dove non si va perché già ci si è. Basta sapere come arrivarci (suggerimento: con la meditazione).
Ho un consiglio: quando si struttura un archivio è meglio non fare i fenomeni e chiamare le cose in modo lineare, così quando il tuo Io del futuro le cercherà non maledirà l’Io del passato.
Fra i miei appunti ne ho un gruppo chiamato con molta fantasia “Meditazione”. Dentro ci sono annotazioni che riguardano libri letti o sessioni di meditazione particolari, con descrizioni di visualizzazioni e quant’altro. La progressione è cronologica e, letta da una certa angolazione, fornisce un ritratto dell’evoluzione del mio rapporto con una pratica che - non temo di esagerare a dirlo - ha cambiato in meglio la mia vita come poche altre cose. Per questo quando posso e quando il mio interlocutore è interessato, ne parlo a profusione. Se posso guadagnare qualcuno alla pratica della meditazione non bado a spendermi, e so di farlo per il suo bene.
Non esiste un’Internazionale della Meditazione, non sono affiliato a nessuno e a niente: la pratico e basta, e non posso neanche definirmi esperto. Parlo solo della mia esperienza.
Con il tempo il mio rapporto con la meditazione è cambiato, o meglio: sono cambiati gli effetti che mi provoca. Riassumendo in modo molto sintetico, ho superato la fase del benessere fisico e mentale e sono entrato in quella dell’indagine filosofica. Ciò non significa che la prima si sia esaurita, anzi: i suoi benefici persistono ma a questi si è aggiunta una speculazione mentale e intellettuale sui nuovi mondi che la meditazione mi ha svelato.
Esistono davvero nuovi mondi? Sì, anche se dovrei dire che sono sempre esistiti anche se non avevo il modo di esplorarli. Questi mondi sono sia dentro che fuori di me e ora posso intravederli.
Se il discorso sembra new age, mi spiace. Anzi no, non mi interessa: non lo è e basta e non me ne curerei comunque.
Quello che segue, per chi ha voglia e interesse a leggere, è il mio viaggio nella meditazione, almeno fino a questo punto. Prima di partire è giusto dire che non c’è un punto di arrivo (o almeno non credo, escludendo almeno la fine della mia vita terrena, dopo la quale non mi interessa più sapere dove conduce questa ricerca, dato che sarò passato ai più). Quello che c’è è solo un viaggio verso una destinazione ignota. Come sempre è il viaggio che conta, non dove conduce.
Partiamo.
Prima fase: il benessere mentale
I benefici della meditazione si possono percepire già dopo poche settimane che la si pratica: ne ho scritto qui ma, riassumendo, si tratta di: miglioramento generale dell’umore, aumento della memoria, capacità di percepire in maniera più profonda il momento presente, equidistanza dai problemi, tono psicologico più stabile, disinteresse per le futilità, capacità di filtrare ed escludere il rumore di fondo, migliore gestione dell’ansia.
Vista in prospettiva, capisco che questa fase ha avuto lo scopo di preparare il terreno a quelle che le sono seguite. Mentre la attraversavo non avevo però idea che mi avrebbe condotto a riconsiderare le radici del mio rapporto con me stesso e con il cosmo. Sì, ho detto con il cosmo, e lo confermo. Del resto, da lì veniamo, e lì torniamo.
Seconda fase: la disgregazione dell’Io
All’incirca dopo un paio d’anni che meditavo, dopo averne apprezzato i benefici, ho iniziato a percepire un certo fastidio per il fatto di essere sempre al centro della meditazione. Ho scoperto che la maestra di meditazione Chandra Livia Candiani non ama chiamare il proprio centro mentale “Io” ma “me”. Il principio del superamento dell’Io (non della sua negazione) comincia chiamandolo con un nome diverso e me ha una buona dolcezza.
Il disagio che percepivo era dovuto al fatto che le visualizzazioni generate avevano un preciso punto di vista: il mio. Ma io non volevo più vedere il mondo interiore da un punto di vista soggettivo, io volevo diventare tutto, essere tutti gli occhi possibili. Cercavo insomma una dimensione panica. Per riuscirci ho pensato che una strada possibile fosse quella della disgregazione. Al tempo scrivevo:
Cartesio ci ha fregati con questa urgenza di collocarci sempre da qualche parte, di voler sapere dove siamo e in riferimento a quale sistema, mi dicevo.
Definirsi in senso assoluto - cioè senza alcun riferimento - è la cosa più difficile, per non dire impossibile. Eppure è solo disgregandosi che si riesce a non avere più termini di riferimento perché disgregandosi si diventa semplicemente tutto.
Come spesso accade, dopo averlo scritto ho smesso di pensare che avrei preferito non percepire di essere il protagonista delle mie meditazioni, o quantomeno non volevo che la mia mente mi ricordasse costantemente di essere la generatrice di cotante visualizzazioni. Una volta che ho trasferito su carta - per quanto digitale - queste mie intenzioni e speranze, l’argomento è parso risolto. In genere molti nodi morali o mentali si sciolgono quando escono dalla testa e acquistano una forma scritta. Il che dimostra anche che è perfettamente normale che io non ricordi nemmeno di aver scritto qualcosa che effettivamente ho scritto: se n’è già andata poco dopo averla scritta.
Terza fase (attuale): la fine della morale/il tutto cosmico
L’abbandono spontaneo del punto di vista personale mi ha condotto al punto in cui mi trovo oggi: lo descriverei come “Periodo filosofico”, nel senso che l’interesse per la meditazione ha superato il beneficio mentale e si è esteso a un livello intellettualmente più sofisticato e per niente personale. Non che si siano interrotti gli effetti positivi (quelli persistono) ma ho smesso di concepirla come uno strumento che mi serve a qualcosa e ho cominciato a usarla per accedere ai mondi che mi dischiude, più che per trovare benessere mentale. Quello è ormai implicito e non ci penso più, esattamente come, dopo aver imparato a respirare correttamente, lo si fa senza più prestarvi attenzione.
Come al solito sono giunto a queste considerazioni mettendo insieme diversi stimoli: quelli ascoltati e quelli letti. Bisognerebbe spesso fare questo esercizio, cioè quello di osservare quali fili legano i libri che si stanno leggendo o ciò a cui si sta prestando più attenzione, perché è probabile che descrivano un ritratto molto preciso di noi stessi.
Una sera io e il mio amico Tony stavamo camminando. Lo facciamo da qualche tempo, chiacchierando. Parlavamo dell’intervista a Baricco e in particolare del passaggio sulla Giustizia e su quanto sia sopravvalutata. Senza che Baricco lo dicesse esplicitamente, il fatto che lui avesse raccontato di meditare da tanti anni mi ha portato a pensare che fosse quello il motivo per il quale era giunto a una conclusione così radicale: non solo la Giustizia è sopravvalutata nell’epoca moderna ma è anzi un valore che appartiene a un concetto morale di vita. La morale - intesa come il palinsesto dei comportamenti e delle regole sociali - è fondamentale in un sistema di convivenza pacifica. Non voglio e non posso negare che sia il modo migliore per governare il funzionamento di un sistema complesso formato da elementi individuali, cioè da noi.
La meditazione, dicevo, permette di vedere mondi in cui la morale non esiste perché non ha senso di esistere. È, per quanto ne ho capito dalle mie brevi incursioni, un universo di mondi in cui coesistono gli opposti e, anzi, si integrano in entità armoniche. La morale definisce i rapporti fra le parti ma se esiste una dimensione in cui c’è solo il Tutto e non le parti, la morale perde di senso. A questa considerazione giunge chiunque mediti quando capisce di poter osservare i propri affanni lasciandoli dispiegarsi di fronte alla vista per poi procedere oltre, fuori dal campo visivo. È la pratica dell’osservare senza giudicare, del prendere coscienza e lasciare andare.
Se non c’è motivo di giudicare, non ha senso che esista la giustizia. Come può esistere un mondo simile nella realtà in cui viviamo? Non può, oppure può ma non essendo mai tangente: c’è ma è silenzioso, esiste poiché è infinitamente più grande: è infinito, perché è tutto.
Come si può concepire un pensiero e il suo contrario, contemporaneamente? La ragione non può o può solo concepire che un oggetto mentale del genere esista ma sperimentarlo le è impossibile (o almeno a me non riesce).
Non si tratta di concepire la possibilità che 2+2 sia uguale a 5 ma di contenere in sé il fatto che diano come risultato sia 4 che 5 e anche gli infiniti altri.
La meditazione dà insomma accesso a un ambiente mentale - non saprei come meglio definirlo - che non è regolato dalle stesse leggi del pensiero corrente. Dovrei dire “occidentale” forse, per non sapere come definirlo altrimenti. In questo sistema non vigono le leggi morali di quello reale e condiviso, perché è un sistema che non ha morale dato che non ha bisogno di leggi. Non è facile descriverlo con una lingua che conosce solo gerarchie (che sono un’espressione di potere, poiché postulano un sopra e un sotto, un prima e un dopo e collocazioni temporali e morali del genere). Non lo si può insomma capire, o non con gli strumenti usuali. Però lo si può intravedere con la meditazione.
In questo sistema interiore e mentale - anche se, ancora una volta, una simile descrizione è limitante - esiste il tutto e il suo contrario, contemporaneamente. Possono esistere perché non vi è tempo, o almeno non quello oggettivo e misurabile. Sono altre le regole che lo governano, e non sono nemmeno visibili né razionali. Sono le regole che restituiscono valori matematici inconcepibili e che non hanno bisogno del concetto di giustizia.
Questa, e concludo, non è l’apologia della fine della morale o della giustizia ma è solo un modo per descrivere una realtà che contiene quella in cui siamo immersi - dove servono i valori per salvarci dalla barbarie - essendole infinitamente più grande.
La si può intravedere meditando, per poi tentare di concepire che possa esistere qualcosa e anche il suo contrario. È però impossibile razionalizzare questo pensiero: la ragione è binaria e concepisce rapporti fra le cose che siano regolati da similitudini o contrasti, da positivo o negativo. Le cose sono definite (anche) dai loro opposti. Noi stessi ci definiamo poiché simili o diversi da altri.
La morale esiste solo fra gli umani. Gli animali non ce l’hanno, figurarci se ce l’ha l’infinito spazio che ci contiene.
Le uniche leggi che governano il cosmo sono quelle fisiche, della morale il cosmo non sa cosa farsene.
La verità è che è un’enorme presunzione pensare che la morale si applichi (per non dire che esista del tutto) a ogni cosa: nell’immenso schema delle cose, la morale è un’impercettibile perturbazione nel tutto, di certo ininfluente e appena registrata dai sismografi cosmici.
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Quando si aprono gli occhi al termine di una meditazione si torna dal viaggio. Può essere durato qualche minuto o qualche ora, ma anche quella è una convenzione, sono numeri che leggiamo su un quadrante. Il tempo - come la morale - è una convenzione. Oppure: il tempo esiste (l’universo ha un’età) ma è così esteso rispetto alle nostre esistenze da risultare infinito.
Una volta tornati si è di nuovo in questa realtà: ci sono gli altri, ci sono gli opposti, ci sono il bene e il male, o quelli che chiamiamo così. Da ogni viaggio però si torna diversi. Da un viaggio in cui si è visto il tutto - o se ne è avuta almeno una vaga percezione - si torna con la consapevolezza che esiste anche quel mondo, quello senza morale e senza giudizio. Non ne è privo perché in quella dimensione il male abbia prevalso ma perché esiste tutto e niente, contemporaneamente e non in contrapposizione. Esistono bene e male, positivo e negativo, alto e basso ma nello stesso momento e in armonia.
Meditando riesci non solo a immaginare che sia possibile concepire e pensare un mondo simile ma che esista, ponendo tutto il resto in prospettiva. Quando dall’equazione si sottrae l’Io (o il Me, per dirla alla Candiani) resta l’universo e la sua fisica, restano solo le leggi eterne, quelle che non mutano, quelle che governano il tutto, a prescindere dalla nostra volontà e dalle regole che inventiamo.
Siamo esseri sociali, dovremmo accettare quello che siamo realmente: esseri cosmici.
Inoltre
Qualche numero fa accennavo a un’intervista che avevo rilasciato. Eccola qui. Rispondendo alle domande di Walter Cainelli ho parlato di me stesso, del mio lavoro, di cosa lasceremo, del fatto che siamo polvere di stelle, di fallimenti, di eredità e del fatto che si può nascere quadrati e diventare rotondi. In definitiva: che non c’è niente di definitivo, e va benissimo così. Grazie ancora a Walter.
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Le tue newsletter sulla meditazione mi danno motivo di non mollare, perché al momento le mie meditazioni sono un susseguirsi di pensieri che cerco di mettere a tacere.
“Eppure è solo disgregandosi che si riesce a non avere più termini di riferimento perché disgregandosi si diventa semplicemente tutto.” -- che bello.