142 - Flagellazione
Il valore dell'opera originale e della sua aura, nell'epoca della riproduzione ecc.
Anni fa ero a Urbino. A Urbino passeggi e ti inerpichi o discendi, guardi le colline che la cingono dai cannocchiali naturali che le sue vie formano e poi sali a Palazzo Ducale. Mentre lo fai - di salire a Palazzo Ducale - mediti sul fatto che quelle colline lƬ attorno non sono affatto diverse da quelle che dipinsero gli illustri pittori del Rinascimento, anzi: sono proprio quelle. Si sono conservate immutate: i calanchi, gli orridi, le cime dolci e rotonde, i crepacci, i prati e i boschi. Pare tutto uguale. (āorridoā ĆØ unāaltra parola interessante).
Mentre passeggiavo per le sue sale, a un certo punto mi trovai di fronte alla Flagellazione di Piero della Francesca. Non ricordavo nĆ© sapevo che fosse custodita lƬ, quindi lo stupore fu eguagliato dallāammirazione di quellāopera sublime, tanto che non saprei dire se fossi più deliziato dal contemplarla che dalla sorpresa di trovarmela di fronte, improvvisamente.
La Flagellazione ĆØ in realtĆ una tavola di piccole dimensioni: misura 58,4Ć81,5 cm. Ho controllato perchĆ© non lo so a memoria, anche se avrei indovinato bene o male quanto grande fosse: non tanto, o non di certo tanto quanto la meritata fama che ha.
Vi rimasi di fronte a meditare per un bel poā e pensai diverse cose.
La prima fu che aveva una forma irregolare, vagamente trapezoidale. Il lato sinistro è inclinato a formare una base più corta rispetto al lato superiore, quindi si tratta di un trapezio rovesciato.
Non che conti, se non per il fatto che mi fece ricordare quando con mio padre misuravamo assieme a compƬti storici dei disegni di Carlo Scarpa. Mio padre misurava e declamava i numeri relativi e questo storico li annotava. Il fatto ĆØ che a volte glieli comunicava scambiando lāordine della base e dellāaltezza. Lo storico gli disse che esisteva una regola scientifica, e che la base veniva sempre per prima, che quindi gli dicesse prima quella. āE se i lati non sono uguali?ā disse mio padre, āIn che senso?ā chiese quello, āNel senso che questo (e indicò una velina strappata in modo impreciso, probabilmente nella foga della creazione) ĆØ un trapezioā. āComunque si misurano base e altezza, considerando la lunghezza del lato maggiore in caso siano disegualiā, rispose quello stizzito. āQuindi non si annota il lato minoreā, incalzò mio padre āNon mi sembra molto scientifico come metodoā, e ridacchiò divertito. Lo studioso non rise.
Ci ripensavo, appunto, perché la misura ufficiale della Flagellazione non dice che in realtà si tratta vagamente di un trapezio, anche se il dipinto in sé sta in un rettangolo regolare. Questione di supporto, poco male.
Allora capii che stavo vivendo unāesperienza un poā diversa dalla pura contemplazione di unāopera somma. Ero di fronte a un varco spazio-temporale perchĆ© di fronte a quel quadro, alla stessa distanza a cui mi trovavo io osservandolo, 570 anni prima, cāera Piero della Francesca. Esattamente dove sostavo io, pensando a quella forma irregolare, alla minuzia del tratto e alla ricchezza di dettagli, cercando di cogliere il simbolismo che di certo mi sfuggiva in molte parti, ecco, proprio lƬ per un certo periodo del 1450 cāera lui.
Ogni quadro ha un autore, ogni quadro deve essere eseguito da qualcuno, quindi lāesperienza può essere rivissuta da chiunque si trovi in presenza di unāopera manuale.
Questo miracolo della compressione del tempo avviene in forma mediata e meno potente nella riproduzione di unāopera: una copia meccanica può assomigliare più o meno precisamente allāoriginale ma di certo non si può dire che di fronte a essa vi sia mai stato il suo autore o la sua autrice. Quel filo che collega le dimensioni temporali e non si esaurisce mai fintanto che lāopera esiste si rinnova a ogni osservazione. CāĆØ sempre.
Piero della Francesca continua a vivere di fronte alla sua opera, anche se ĆØ trasparente, non fisico. Eppure cāĆØ, perchĆ© cāĆØ stato.
Questo ĆØ un potere dellāoriginale: ĆØ unāenergia che continua a emanare perchĆ© la pagina scritta a mano da uno scrittore ne conserva la pressione del pennino e la tavola o la tela ricordano ogni pennellata, ogni stesura di colore, ogni istante impiegato per dipingere proprio quel segno, proprio quella sfumatura.
Lāopera dāarte cattura il tempo e non lo lascia più sfuggire, ecco cosa stavo osservando.
Non ĆØ una cosa da poco e non mi vengono in mente molte altre esperienze che ne siano capaci. Ć un potere dellāarte, suppongo.
In questi giorni riguardavo anche foto personali, fatte ormai più di 10 anni fa. Questa volta ero io Piero della Francesca, non nel senso del talento ma in quanto autore. Ho osservato che ne davo una lettura diversa da quella che intendevo al tempo, quando le feci. A volte non ricordavo di averle fatte, a volte cercavo di ricordare lo stato dāanimo che avevo quando le scattai. Non lo ricordavo quasi mai, nĆ© ricordavo esattamente il momento. E allora mi sono chiesto che tempo catturavano quelle immagini, e se erano in grado di imprigionarlo come la Flagellazione. Ripeto: non ĆØ un paragone, mi interessa solo capire se la forza di unāimmagine ĆØ tale da sconfiggere il tempo, o almeno da sottometterlo.
Da quelle immagini affiorava ciò che non immaginavo al tempo, quando le scattai. La memoria non ricostruiva lāesatto momento e quindi il loro significato - quando ne avevano uno - era indipendente dalla mia mente: viveva di propria energia, era ciò che aveva deciso di essere. Eppure quelli erano i miei ricordi, ma in un certo senso erano diventati ricordi di unāaltra persona, pur se indefinita.
E allora ho pensato che con la fotografia o con lāarte scriviamo lettere al nostro Io futuro. Non lo conosciamo nĆ© possiamo sapere cosa mai penserĆ ma gli diciamo cose che forse riuscirĆ a capire, anche se nel presente non le capiamo.
Cerchiamo - cerco - tutti i modi possibili per fottere il tempo.
Rivedendo certe mie foto, mi dico che le ho fatte perchĆ© vi riconosco qualcosa, perchĆ© hanno un significato per me. E non ĆØ detto che mi sia chiaro ma ce lāhanno, anche se lo scoprirò solo nel futuro, se mai lo scoprirò.
Onore al merito allāimmagine, e non allāautore, quantomeno nel mio caso.
Nel caso di Piero della Francesca il merito mi pare indiscutibile, e infatti la sua capacitĆ resiste e si rinnova nei secoli dei secoli.
Si tratta dellāaura, della potenza evocativa dellāoriginale, come dicevo prima e come diceva Walter Benjamin. Che ĆØ quella persa nella riproduzione o nelle mostre immersive che si fanno spesso negli ultimi anni, che mi sembrano un modo per cercare unāidentificazione fra lāosservatore e lāopera rendendola apparentemente più comprensibile (esplorabile!), ma tradendo cosƬ la sua essenza, che ĆØ di essere unica.
Unāopera si può riprodurre perfettamente, salvo nel suo essere un originale.
Ć una constatazione ovvia eppure ĆØ ciò che decreta la superioritĆ dellāoriginale sulla sua copia: davanti a quello cāera chi lāha fatto, davanti alla copia non cāĆØ mai stato nessuno.
Il che farebbe pensare che lāoriginale evochi una precisa dimensione, o spieghi un costrutto non banale: il tempo esiste solo quando lo si può esperire.
Il tempo umano almeno, cioĆØ quello subƬto e quello applicato allāesistenza, esiste solo perchĆ© viene percepito e allāinterno di esso si vive. Altrimenti non esisterebbe, o non sarebbe cosƬ rilevante.
Del resto ci si pensa e lo si subisce o sfrutta o teme perchĆ© cāĆØ la morte a dargli una dimensione.
Il tempo ha una dimensione perché ha un' inizio e una fine. Il tempo del cosmo non esiste, o il cosmo è indifferente al tempo.
Lāaura di cui scriveva Benjamin ĆØ insomma - oltre che la forza che scaturisce da un originale, rendendolo insostituibile - una condizione che si crea solo quando lāopera originale e lāosservatore si ritrovano nello stesso spazio. Al di lĆ della capacitĆ democratizzante della riproduzione, che ĆØ sempre benvenuta.
E si ritorna a una dimensione fisica e metafisica insieme. Fisica poichĆ© unisce spazio (quello in cui lāopera ĆØ osservata da occhi umani) e tempo, che ĆØ duplice: ĆØ quello in cui si compie lāatto dellāosservazione ed ĆØ quello catturato dallāopera stessa. E metafisica poichĆ© si eleva al di sopra del contingente, rendendo superflui spazio e tempo. Nella dimensione matafisica spazio e tempo non contano, sono annullati.
Inoltre, e infine, il miracolo del tempo fermato è possibile solo quando qualcuno osserva: durante la notte, la Flagellazione torna a essere un quadro dipinto su una tavola vagamente trapezoidale, in una sala del Palazzo Ducale di Urbino. Il flusso del tempo può essere fermato solo quando un osservatore la osserva, immagina Piero della Francesca a dipingerla cinque secoli e mezzo prima e, al suo fianco, rievoca quel tempo passato e ne collega i lembi a quello presente.
Il varco ĆØ aperto e ci si trova di fianco a Piero della Francesca a osservarlo. Si guarda nellāabisso dellāarte, si respira mentre tutto attorno smette di danzare e fare ed essere. Si respira, mentre il tempo trattiene il respiro.
Inoltre
Puoi vedere altre mie foto, grafiche, disegni, e leggere molto altro su martinopietropoli.com.
ā Sono anche su Twitter | Facebook | Instagram | Medium | Threads
ā Le mie stampe sono su Studio Martino Pietropoli
Ho scritto un libro
Lāho fatto con Sandro Siviero, per BUR Rizzoli. Parla della corsa e di come cambia la vita. Quindi parla anche di vita, per estensione. In tutte le librerie fisiche e online. Lo stiamo anche presentando in giro per lāItalia.
ā¤ļø
Interessantissimo e mi ha dato pure uno spunto, perchĆ© anche le parole possono fermare il tempo. Figoāļø