92 - Lasciare
Nel senso di "lasciare andare", che è una cosa fra le tante che dice Baricco nella sua ultima notevole intervista
Baricco non è uno che parla molto. Non lo sapevo o non ci avevo mai fatto caso, anche perché Baricco è uno che sai che c’è, che ogni tanto pubblica un libro, che ha fondato la Scuola Holden. È una presenza e lo è a prescindere di quanto dica e scriva, a dimostrazione del fatto che non bisogna per forza sempre dire e scrivere: bisogna farlo quando si ha qualcosa da dire.
Parlando sempre pubblicamente si segnala la propria presenza - esattamente come una zanzara in una notte d’estate - mentre invece parlando raramente e dicendo cose dotate di una certa massa si resta. Tutto questo per dire che Baricco ha rilasciato una lunga intervista a Matteo Caccia in cui parla di scuola, letteratura, pianoforti, malattia ma soprattutto del corpo, di meditazione e preghiera, dell’arroganza (sua), di amore, di tecnologia, di politica, di piemontesità e di pasta al ragù.
C’è però un tema che lega tutti questi argomenti ed è come un basso continuo: è il lasciare andare le cose.
Dovrei prima di tutto dire che del Baricco letterario non ho letto molto, forse niente. Del Baricco intellettuale ho invece letto di più, e l’ho sempre considerato più un intellettuale che uno scrittore, almeno dal mio punto di vista e solo perché del Baricco letterario ho letto poco o niente, e non è un giudizio. Baricco è inoltre uno straordinario comunicatore, specie considerando ciò che comunica, cioè la letteratura e i libri, cioè cose fra le più noiose e peggio raccontate della storia. Non che siano noiose in sé ma raccontate in modo noioso, quello sì.
Vidi solo qualche puntata di Pickwick eppure ricordo come parlava di Carlo Emilio Gadda e della qualità della sua scrittura. Non ti diceva che era perfetta: ti spiegava perché lo era. Baricco mi ha sempre fatto vedere qualcosa che pochi vedevano e che lui amava condividere. L’ha fatto anche da intellettuale: The Game è un’interessantissima e originale lettura dei tempi contemporanei, e lo è anche grazie alla chiarezza della sua scrittura e alla sua capacità di tuffarsi in profondità e di scendere e scendere e scendere, a vedere cosa si vede dove la luce del pensiero arriva raramente.
Non volevo però parlare di questo, ma anche questo serve a costruire l’edificio della sua persona pubblica, singolare anche nell’esprimersi raramente, ma lasciando ogni volta sul tavolo un oggetto misterioso o prezioso: prendete e pensatene tutti, pare dire ogni volta.
Baricco ha costruito molto: con la scuola che ha fondato, con i libri che ha scritto e con la sua opera intellettuale. Eppure, dicevo, l’esito delle sue speculazioni - forse maturate dall’età e dalla malattia che fortunatamente ha superato - sembrano portare alla sottrazione, all’essenza. Al togliere. Alla leggerezza, che è l’esito del lasciare andare le cose.
Ne parla più o meno consciamente in molte parti della conversazione: per esempio quando lo dice esplicitamente:
[Bisogna avere] la capacità di lasciare andare il mondo.
Non “lasciar perdere questo o quello”. L’atto del lasciar perdere è una sconfitta, significa non riuscire più a tenere qualcosa nelle mani o in un abbraccio. Lasciare andare il mondo significa accettare che non lo si può possedere, che siamo storie che si intrecciano e che prima o poi finiscono.
Altrove dice che ha iniziato a capire il suo corpo solo negli ultimi anni: “La storia dei corpi è più affascinante di quella delle menti. Adesso, a 65 anni, posso dirlo”. Invecchiando ha iniziato a sentire di più il corpo perché lo sta perdendo ma allo stesso tempo è più consapevole di quello che gli rimane e gli dà più valore.
Usa molte metafore - il suo linguaggio è potente perché illumina immagini e frammenti di storie nella mente di chi lo ascolta - e lui gliene dà, con generosità.
In Oceano Mare non c’è il corpo. Ci sono degli acquerelli ma non c’è la carne.
Il corpo è carne e lo si può addentare ma la carne è anche nutrimento, o almeno l’illusione del nutrimento. Evoca il gesto ancestrale: una pagina carnosa è una pagina che puoi mangiare e che ti nutre.
C’è molta serenità in quest’uomo. Lo si capisce da quante stanze ha attraversato e da quante porte ha chiuso dietro di sé, perché non gli interessava più tornare a visitarle. Era arrogante - per sua stessa ammissione - e ora non lo è più, o lo è in modo più dolce e gentile, quasi come se conservasse questo suo tratto caratteriale spigoloso come un abito nostalgico.
Più si lascia andare il mondo, più è inutile essere arroganti. Più si invecchia, più ci si libera della gravità, come per prepararsi a un altro viaggio in cui non servono molti abiti (sociali) ma solo un corpo abbastanza funzionante e un’anima tesa dall’esercizio fisico e mentale, resistente e affilata.
Non serve molto altro, e serve tutto.
Questa conversazione dura due ore ma in verità dura decine di anni, quelli che lui è in grado di distillare in poche gocce, dense.
Il lasciare è alleggerirsi più che perdere. Lasciando le cose si perde peso e si viaggia più leggeri, non si perde l’idea delle cose e la loro essenza. L’essenza non ha peso specifico, sta in un’idea. Le idee possono pesare, questo sì: esistono solo nella mente e possono avere pesi che fanno piegare le teste. Allora bisogna lasciare andare anche quelle.
Per un breve tratto Baricco parla della giustizia, e la considera sopravvalutata:
Credo che sopravvalutiamo la giustizia. L’infelicità dell’umanità dipende dal non lasciarla andare. La giustizia è un’ossessione della nostra cultura ma ci sono state anche culture che hanno sviluppato grande bellezza pur convivendo e tollerando l’ingiustizia.
Il suo concetto di giustizia genererà di certo sconcerto perché sembra avvallare il diritto a esistere del sopruso. Eppure penso che lui dica qualcosa di diverso, che è forse meglio comprensibile solo a chi medita (come lui fa): lasciare andare non significa non vedere o giustificare l’esistenza del male, dice solo che lo si vede ma si ha la consapevolezza e la forza di non farsene sopraffare, di costruire quello che lui chiama con una bellissima immagine “un riverbero verticale, la luce della redenzione”.
La sua opera è una continua ricerca dell’atto creativo capace di generare nuovamente un’illuminazione mistica, una rivelazione: la possibilità di salvarsi e di trovare un senso. Perché il viaggio è stato lungo e faticoso ma leggero.
L’ultima metafora è quella che descrive i libri. Secondo lui ce ne sono di due tipi:
Ci sono libri belli e brutti e poi ci sono libri che si staccano da terra. Tanti libri rimangono attaccati al reale e poi ce ne sono certi che si staccano e rimangono lì.
Da una parte tutti i libri, qualsiasi libro, senza distinzioni. E poi dall’altra ci sono altri libri: non devono essere né belli né brutti ma hanno una precisa qualità, quella di librarsi e di rimanere sospesi in aria.
Ci riescono perché sono leggeri, perché hanno lasciato andare le cose e hanno conservato solo quello che serve per il viaggio. Alla fine del viaggio ci devi arrivare con poche cose, meglio ancora con nessuna cosa. Ci arrivi da solo, perché hai lasciato andare tutto il resto.
Inoltre
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Ho ascoltato proprio ieri durante un lungo viaggio in auto l'intervista, ed è proprio quell'immagine lì del "lasciare andare" che mi era rimasta dentro (e mi ha percorso un brivido mentre descriveva il momento perfetto, vissuto in gruppo e ognuno a suo modo, con il maestro di meditazione). Già alla fine delle due ore di intervista volevo riascoltarla per fissare alcuni punti, cosa che farò nei prossimi giorni.
Ecco, tu Martino sei riuscito a condensare bene quel pensiero centrale del "lasciare andare" che lega tutti gli altri.
Anche oggi una lettura che da spazio a pensieri ed ad una bella meditazione.
Grazie 🙏