Guardo lo schermo del computer come se la risposta fosse lì dentro. Forse c’è, solo che è ben nascosta. Le risposte che ho trovato stando seduto sono pochissime, forse nessuna, a ben pensarci. Per pensare - penso - devo solo alzarmi dalla sedia e uscire, a fare quattro passi.
Il mito della produttività è così permeante e asfissiante che si finisce davvero a pensare che si possa esserlo - produttivi, appunto - solo stando nel luogo deputato alla produttività: l’ufficio, lo studio, il luogo del pensiero.
Ci sono luoghi adatti a certe attività che altrove non potrebbero essere esperite: non si può costruire un pezzo meccanico passeggiando né far contabilità o operare a cuore aperto. Ci sono però tante altre attività, specie quelle creative, che nel luogo chiuso soffrono come se mancasse loro l’aria. O almeno a me capita così: non riesco a essere creativo al chiuso. E allora esco a fare quattro passi.
Me ne bastano proprio quattro di numero perché le idee si rimettano in moto. Allontanatomi dalla porta dello studio qualcosa inizia a muoversi nel cervello. Arrivato alla fine della strada già un paio di idee si sono affacciate alla mente. Altre si delineano all’orizzonte cerebrale. Imbocco la prima strada sulla sinistra e sono già più nitide. Possono danzare attorno al problema che avevo lasciato in studio o riguardare tutt’altro.
Camminare è sempre la soluzione al garbuglio mentale. Devo solo ricordarmene.
Devo leggere Camminare di Henry David Thoreau. Devo perché so che conterrà qualcosa di folgorante e perché lo voglio leggere da tempo. Giorni fa me l’ha dato mio padre, non so se come regalo o per fare un bel gesto perché poi ha aggiunto che voleva leggerlo anche lui, quindi non so se sia mio o suo. Non importa. Quello che conta è che lo voglio leggere da tempo e che sospetto contenga qualcosa che ha a che fare con il pensiero e sul come si forma e sul perché l’atto del camminare lo alimenta. Anche scrivere su una tastiera o con una penna su un foglio è far camminare qualcosa (le dita, il pennino) e aiuta al dare forma al pensiero, alle idee. Scrivere è un po’ come camminare?
Del cammino ricordo un passo di Paul Auster in Trilogia di New York. Diceva che camminare serve a purificare i pensieri. Quando si cammina si viene attraversati dall’aria e questa porta via con sé le tossine mentali e restituisce il pensiero in purezza. Non diceva esattamente così ma il concetto mi pareva questo, ora non ricordo, lo lessi diversi decenni fa. Conta che quell’immagine e quel concetto si sono sedimentati nella mia memoria. E resistono.
La produzione del pensiero, inteso come atto automatico, non suscitato né evocato, è legata al camminare. Non mi stupisce che scrivendone finisca a parlare dell’atto del camminare. Del resto c’erano i peripatetici millenni fa, come sempre gli antichi greci e poi i romani avevano già capito tutto (il 99% del pensiero contemporaneo sulla crescita personale di contemporaneo ha solo la nascita in quest’era, perché è già stato pensato millenni fa).
Ci sono spiegazioni scientifiche e biologiche sul perché camminare (o correre) produca pensiero ma non è di questo che voglio scrivere ora, quanto piuttosto di una epifania che ho avuto. Camminando, ovviamente.
Il fatto fisico è questo: camminando o correndo il sangue irrora i muscoli e affluisce meno copiosamente al cervello. Questo non si spegne di certo ma, per continuare a produrre pensiero, entra in modalità di risparmio energetico e seleziona i pensieri. Pensa solo a quelli davvero centrali, e lo fa con maggiore concentrazione ed efficacia.
L’epifania è stata questa:
In questi frangenti il cervello non solo pensa meno e meglio ma soprattutto smette di parlare.
Non avevo mai pensato al fatto che una delle funzioni del cervello è produrre pensiero, non parole. Non è una differenza marginale e spesso genera confusione. Le parole sono la forma che assumono i pensieri ma non sono i pensieri. Le idee non sono le parole: quelle ne sono solo una (possibile) rappresentazione.
L’equivoco è presto spiegato: la forma delle idee è una delle possibili sembianze che possono assumere ma la loro essenza non ha forma e non ha quasi materia. L’unico modo che queste hanno per apparire ed essere visibili è diventare logos, cioè parola. Con cui finiscono per essere confuse.
Il discorso attorno alle idee è quindi solo una possibile rappresentazione. È la voce del cervello che tenta di trasferirle dal piano mentale e del puro pensiero a quello fisico.
È curioso che durante un’attività fisica come il camminare il cervello smetta di parlare (gli manca forse l’aria per farlo senza soffocarsi) e ritorni a creare solo pensiero.
Un’ultima illuminazione: i pensieri e le idee possono assumere forma di logos o di immagine, che sono anche gli strumenti dei due principali modi in cui si pensa: per immagini o per parole. Vi sono persone che pensano per immagini e altre che vi riescono solo con le parole. I visivi e i discorsivi.
Le storie uniscono queste due modalità giacché impiegano parole che descrivono immagini. Le storie continuano a essere raccontate da millenni e non hanno perso affatto la loro forza perché hanno un potere che la pura parola e i concetti astratti mai potranno avere: ci si può identificare per similitudine o contrasto con una storia ma non con un concetto. La storia riesce ad alludere a un concetto e persino a darne una versione plausibile e comprensibile, mentre un concetto non evocherà mai una storia. Concetti, pensieri e idee hanno bisogna della parola per avere una forma, e quando la forma è quella della storia possono essere più facilmente compresi.
L’umanità è ispirata dalle immagini suscitate dalle storie (quelle di un futuro diverso, quelle di una speranza) e non dalla purezza del pensiero. Il pensiero deve prima diventare logos.
Quando cammino penso alle idee e non alle parole che le esprimono. Quando cammino il cervello tace e la mente si esprime con la grammatica delle idee. È la stessa che intravedo in certe meditazioni, quando la mente ha abbandonato la contingenza del reale e galleggia in un tempo sospeso in cui vengono prodotte immagini incoerenti (a me, quantomeno, succede così). Ho sempre pensato che fossero tali - senza senso - mentre ora incomincio a sospettare che siano la forma delle idee. Quella che non si può tradurre in parole e che si può solo osservare con la mente e lo sguardo interiore. È una dimensione che precede il logos - che è un tentativo di dare una forma trasmissibile al pensiero - e a ogni logica condivisa. Quel pensiero è prima di tutto: prima dell’uomo, prima delle storie, prima o fuori dal tempo.
Camminando si rivela, camminando si svela. Lo si vede, o se ne intravede la forma. Non la può esprimere a parole o, quando lo si fa, si è consapevoli che sfugge e diventa invisibile. Le parole non bastano.
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Una novità
Ho scritto un libro con Sandro Siviero, per BUR Rizzoli. Parla della corsa e di come cambia la vita. Quindi parla anche di vita, per estensione. In tutte le librerie fisiche e online. Lo stiamo anche presentando in giro per l’Italia, quindi nelle prossime settimane lo ricorderò anche qui.
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Camminare è un tema molto bello e ricco, insieme a tutto quello che succede nel frattempo. Ti potrebbe essere d'ispirazione "Storia del camminare" di Rebecca Solnit. In certi momenti è un po' pesante ma alcuni estratti sono molto belli.
Che bella questa riflessione. E trovo super interessante anche il fatto che il collegamento che fai tra Thoreau e Auster, spontaneo e sul tema del camminare è in realtà reale! Proprio nella Trilogia di New York (ammetto di non ricordare se in "Fantasmi" o in "La stanza chiusa", ma mi pare fosse il personaggio di Blue nel primo dei due), uno degli investigatori si trova davanti a un certo punto una copia di "Walden", libro sul tema della vita libera. Che belli questi incroci 😊!